2° seminario
Conoscenza e politica in Karl R. Popper
prof. Alberto Oliva - Università Federale di Rio de Janeiro (Brasile)
7 febbraio 2014 - Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro
Una peculiarità del pensiero di Karl Popper (1902-1994) su temi politici e sociali è quella di basare la difesa della Società Aperta su una consistente riflessione in ordine alla natura della conoscenza umana. Quando il mondo era infestato da ideologie collettiviste, che davano supporto intellettuale ai diversi tipi di autoritarismo/totalitarismo, Popper era quasi una voce isolata con i suoi due grandi libri Open Society and its Enemies (La società aperta e i suoi nemici) e The Poverty of Historicism (Miseria dello storicismo). Gli unici grandi compagni di Popper erano Hayek, con suo The Road to Serfdom (La via della schiavitù), e Mises, con suo Human Action (L’azione umana). Popper, Hayek e Mises combattevano lo Stato leviatano in un secolo, come il Novecento, segnato dalla persecuzione e da massacri giustificati ideologicamente da filosofie presumibilmente capaci di porre fine alle sofferenze materiali e spirituali dell’umanità.
Per Popper, la Società Aperta si vincola alla visione fallibilista per la quale tutto ciò che si considera conoscenza è provvisorio; le teorie sono soggette a commettere errori che, in molti casi, portano all’abbandono di quello che si presumeva conosciuto. Il modello giustificazionista, per cui la spiegazione definitiva e la verità ultima sono raggiungibili, si presta alla difesa dei profondi interventi nella vita sociale. Mentre la teoria della conoscenza fallibilista è in armonia con il riformismo cauto e graduale, la gnoseologia “giustificazionista”, con la sua fiducia nella conquista della Verità, si vincola a progetti che hanno l’ambizione di fare il completo e radicale rimodellamento della società. «Non esiste alcun criterio generale di verità - ha scritto Popper - Ma ciò non legittima la conclusione che la scelta fra teorie concorrenti sia arbitraria: significa soltanto e molto semplicemente che noi possiamo sempre errare nella nostra scelta, che possiamo sempre vederci sfuggire la verità o che possiamo non raggiungerla, che non possiamo mai pretendere la certezza; che noi insomma siamo fallibili».
Il liberale non pone in discussione le funzioni intrasferibili dello Stato, ma i poteri che lo Stato concentra – basati nel suo monopolio dell’uso della forza fisica – a detrimento dell’ampio usufrutto della libertà individuale. Il liberale è contro il controllo della vita sociale che i collettivisti sono disposti ad affidare allo Stato. Per il liberale, l’ampia ingegneria sociale eseguita dallo Stato porta alla schiavitù e all’inefficienza economica della pianificazione centrale. Per il liberale, non è cruciale la questione platonica: «chi deve governare?», bensì la sfida, ben rilevata da Popper in The Open Society and its Enemies, di “come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno”. Un’autentica società aperta si caratterizza meno per aver i suoi governanti scelti mediante suffragio universale e più per propiziare il più ampio godimento della libertà degli individui. Come ha messo in rilevo Lorenzo Infantino nella lezione inaugurale della Scuola di Liberalismo “Ludwig von Mises” 2014: «il potere pubblico è pertanto insopprimibile; deve però limitarsi a svolgere una funzione di servizio nei confronti della libera cooperazione sociale». A sua volta, Popper ha evidenziato che «per democrazia non intendo affatto qualcosa di vago (. ..), ma un insieme di istituzioni (e fra esse specialmente le elezioni generali, cioè il diritto del popolo di licenziare il governo) che permettano il controllo pubblico dei governanti e il loro licenziamento da parte dei governati, e che consentano ai governati di ottenere riforme senza ricorrere alla violenza e anche contro la volontà dei governanti».
Il prof. Alberto Oliva è professore ordinario e coordinatore del Centro di Epistemologia e Storia della Scienza del Dipartimento di Filosofia dell’Universidade Federal do Rio do Janeiro dal 1979. Phd in filosofia (UFRJ, 1986) e Master in comunicazione (UFRJ, 1978). Ricercatore del CNPq (Consiglio Nazionale di Sviluppo Scientifico e Tecnologico) dal 1982. Ricercatore, in associazione con il Professore Claudio Pizzi, all’Università degli Studi di Siena, nel 2012. Invitato parecchie volte dal Liberty Fund per partecipare di convegni dedicati al dibattito sui principi e le idee liberali. Editorialista del “Jornal da Tarde” di São Paulo dal 1993 al 2005. Autore di articoli tecnici e di numerosi libri sul pensiero liberale, la filosofia della scienza e l’epistemologia. Membro del Consiglio Editoriale della MISES: Revista Interdisciplinar de Filosofia, Direito e Economia.