1° seminario - lectio magistralis
Il liberalismo come limitazione del potere politico
prof. Lorenzo Infantino - Luiss "Guido Carli" - Roma
21 gennaio 2011 - Camera di Commercio di Catanzaro
 
 
 
1. Per comprendere le ragioni per le quali il liberalismo debba essere inteso come una teoria della limitazione del potere politico, possiamo rifarci all’illuminismo scozzese, quell’inesauribile e fecondo scrigno che continua a orientare l’azione di quanti vedono nel mondo aperto, nella libera cooperazione fra gli uomini, il loro unico e possibile habitat. Nelle lezioni introduttive degli anni scorsi, il prof. Infantino ha utilizzato il teorema della “dispersione della conoscenza”, formulato da Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni e vigorosamente ripreso, nel Novecento, da Friedrich A. von Hayek. Tale teorema mostra che le conoscenze sono largamente disperse all’interno della società e fa di ciascuno di noi un essere ignorante e fallibile.
2. L’ignoranza umana fa parte della più generale condizione di scarsità. È questa la dimensione economica della vita. L’uomo vive in una condizione di privazione: scarse sono le sue conoscenze, scarse le sue risorse materiali, scarso il suo tempo. E, per porre riparo a tale stato di indigenza, l’individuo è condannato a cooperare con gli altri. Il fatto è però che, anche quando siamo posti sullo stesso piano dinanzi alla legge, non tutti godiamo degli stessi gradi di libertà. Chi offre ciò che è più richiesto beneficia di una situazione di sovraordinazione. E colui che offre quel che è meno urgente si trova in una situazione di subordinazione. È questa la dimensione politica della vita. Essa sta a significare che non tutti gli attori godono degli stessi gradi di libertà. Ma l’uguaglianza dinanzi alla legge e il primato del diritto escludono il ricorso alla violenza. E la pluralità dei rapporti fa che ciascuno di noi non sempre si trovi in una posizione di subordinazione. L’idea che la cooperazione potesse essere vantaggiosa per tutti, si è fatta strada molto faticosamente. Per avere chiara consapevolezza di ciò, si è dovuto attendere l’affermazione dell’economia politica, che ha sottratto il problema della scarsità al dominio della violenza. Il fatto è che lungamente nella storia l’uomo ha creduto che la scarsità di beni materiali dovesse essere fronteggiata attraverso la rapina e la pirateria, cioè tramite il ricorso alla violenza. Un ristretto gruppo di guerrieri organizzati ha imposto agli altri il proprio dominio e il proprio governo. Ossia: l’organizzazione statale è nata originariamente per rispondere con la spoliazione violenta degli altri al problema della scarsità.
3. Ci si trova così davanti a due itinerari. Da un lato, c’è la via che pone la violenza e lo sfruttamento politico come mezzi per l’acquisizione delle risorse materiali. Dall’altro, c’è la strada della cooperazione volontaria, intesa come gioco a somma positiva, come processo cioè in grado di migliorare le posizioni di tutti i contraenti. Nel primo caso, politica ed economia sono tutt’uno. Lo Stato è allora una “formazione patrimoniale”. E qui Weber ci viene in aiuto. Egli ci ha ricordato che i «rapporti patrimoniali di potere hanno avuto una straordinaria portata» storica. L’Egitto «appare di fatto come un unico grandissimo oíkos del Faraone. L’amministrazione egiziana ha sempre conservato i caratteri dell’economia dell’ oíkos, e il paese fu trattato dai Romani essenzialmente come un immenso dominio imperiale. Lo Stato degli Incas e specialmente lo Stato dei Gesuiti nel Paraguay erano formazioni di completa configurazione servile […]. Anche la reale potenza politica dei sultani dell’Oriente, dei princìpi medievali e del signore dell’Estremo Oriente ha il suo nucleo in questi grandi domini amministrati patrimonialmente. In questi ultimi casi, la formazione politica nel suo insieme è di fatto all’incirca identica con un’immensa signoria fondiaria del principe». Se tutto ciò si utilizza per “leggere” l’interventismo statale dei nostri giorni, molte cose divengono chiare. E si capisce che non ci sono cause morali della decadenza politica, ma cause politiche della decadenza morale. È per tale ragione ha imboccato un diverso itinerario, quello cooperazione volontaria. L’economia si scorpora dalla politica, che perde la sua funzione spoliatrice e si pone esclusivamente come fonte della “produttore di sicurezza”. L’autonomia della società civile, cioè la cooperazione fra individui posti sullo stesso piano dinanzi alla legge, sconfigge la presa onnipervasiva del potere pubblico. E il liberalismo, che si affida alla libera cooperazione sociale, diviene teoria della limitazione del potere di intervento della mano pubblica. Il che alimenta un gigantesco processo di mobilitazione delle conoscenze e delle risorse materiali, che è anche un grandioso processo di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori.
 
Il prof. Lorenzo Infantino è titolare della cattedra di Filosofia delle Scienze Sociali nella Facoltà di Economia della LUISS Guido Carli di Roma. È stato visiting Professor presso la Oxford University, la New York University, la Universidad Rey Juan Carlos di Madrid. È autore di opere tradotte in inglese, spagnolo, russo. Fra esse, si ricordano: L’ordine senza piano (Roma, 1995, 1998, 2008), Ignoranza e libertà (Soveria Mannelli, 1999), Individualismo, mercato e storia delle idee (Soveria Mannelli, 2008). È considerato, a livello internazionale, uno dei maggiori conoscitori della Scuola austriaca di economia. Presso la casa editrice Rubbettino, dirige la collana “Biblioteca Austriaca”, dove sono raccolte le maggiori opere di Carl Menger, Ludwig von Mises, Friedrich A. von Hayek.