7° seminario
La teoria austriaca del ciclo economico
prof. Nathalie Janson - Neoma Business School (Francia)
11 marzo 2016 - UMG Catanzaro, facoltà di Giurisprudenza
La teoria austriaca del ciclo economico considera la moneta come causa essenziale del ciclo economico. La fecondità dell’approccio austriaco ha le sue radici nell’opera di Richard Cantillon.
Nella teoria monetaria classica la moneta è sempre stata considerata come neutrale, non contribuisce cioè a far crescere la ricchezza economica, ma solo a fare aumentare il livello generale dei prezzi. Lo sviluppo economico richiede, infatti, l’aumento della produttività, la quale a sua volta dipende dall’attività di investimento, che non si può fare senza risparmio. La teoria classica ritiene che moneta e risparmio siano due cose diverse e che l’aumento della quantità di moneta si traduce sistematicamente, attraverso un aumento dei prezzi, in inflazione. L’approccio di Cantillon è più complesso, perché va al di là della semplice neutralità della moneta. La moneta non è neutrale. Il che crea vari problemi e spiega l’origine del ciclo economico. Se è vero che un aumento della quantità di moneta produce sempre un’inflazione generalizzata – al meno fino alla recente crisi –, crea inoltre un’alterazione dei prezzi relativi. Cantillon pone in evidenza è che un aumento della quantità di moneta non giunge agli operatori nello stesso momento e nella stessa misura. Le prime persone a beneficiare dell’aumento della quantità di moneta sono quelle più vicine alla fonte dell’aumento. Pertanto, se si suppone che l’aumento della quantità di moneta è conseguenza della politica monetaria, sono le banche ad effettuare il trasferimento agli individui. Infatti, quando la banca centrale decide di aumentare la quantità di moneta disponibile nell’ economia, la liquidità delle banche commerciali aumenta e allo stesso tempo il tasso d’interesse si abbassa. Questo incentiva la domanda di credito da parte delle imprese.
Oggi i tassi d’interesse sono già a quasi zero, ma la banca centrale inietta massicciamente liquidità nel sistema. Lo fa attraverso un programma di acquisto di titoli. E ciò determina un aumento dei prezzi dei titoli finanziari, che conduce alla formazione di bolle speculative. Si creano così le condizione per favorire l’indebitamento delle imprese. Tuttavia, quando si esce da un lungo periodo di recessione, la domanda di finanziamento da parte delle imprese è piuttosto debole, in conseguenza del basso livello di fiducia nel futuro e l’incertezza relativa all’uscita della crisi. In queste condizioni, le imprese pronte ad investire sono caratterizzate da una bassa attitudine al rischio. Nello stesso tempo, poiché i tassi d’interesse si collocano quasi a zero, l’esistenza di progetti ad alto rischio permette di soddisfare l’appetito di rendimento di certi investitori alla ricerca di qualsiasi opportunità. Si rende in tal modo possibile il finanziamento di progetti la cui redditività è spiegata più dalla situazione monetaria che dalla possibile realizzazione economica. E qui si trova riassunta tutta la problematica della politica di Quantitative Easing. Se l’obiettivo di tale politica è chiaro e esplicito – quello di guarantire la liquidità e la stabilità del sistema bancario e finanziario -, è al contrario più difficile capire gli effetti distorsivi sui prezzi creati e anticiparne le conseguenze. La teoria austriaca del ciclo economico, condensata nel libro di Friedrich A. Hayek, Prices and Production, per il quale lo stesso Hayek ha ricevuto il Nobel nel 1974, insiste sugli effetti perversi delle politiche monetarie espansive. Infatti, queste alterano la struttura della produzione, a favore dell’investimento e allungando così il ciclo di produzione in una situazione in cui la domanda di beni di consumo non è cambiata. Come dire che manca il risparmio necessario per sostenere l’allungamento della struttura produttiva. Alla fine i progetti non possono essere completati e le risorse per produrre i beni di consumo non sono sufficiente. Di qui il processo inflazionistico. Ovviamente è necessario modernizzare l’interpretazione « hayekianna » del ciclo, poiché oggi l’inflazione è la grande assente. La rilevanza del messaggio tuttavia rimane. La politica del Quantitative easing, abbinata a una politica di un tasso d’interesse a livello zero, genera sempre decisioni d’investimento sbagliate, rende cioè più fragili le condizioni della ripresa. Il tasso d’interesse ha un impatto diretto sul calcolo della redditività dei progetti. Più questo tasso è basso, più aumenta il rendimento. Oggi numerosi progetti avviati non sono realizzabili e la prudenza delle imprese in materia di investimento ne è una. Purtroppo, è oggi impossibile identificare progetti che sopravvivranno in una situazione in cui il tasso d’interesse sarà più alto.

La prof. Nathalie Janson ha studiato a Parigi, dove ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università della Sorbona sotto la guida di Christian De Boissieu e di Pascal Salin. Durante il periodo del dottorato ha studiato la teoria del free-banking con Larry White e George Selgin, all’epoca i due maggiori studiosi di questa teoria, alla Georgia State University (USA). Attualmente insegna alla Neoma Business School e all’Università Internazionale Sciences Po di Parigi. Si è specializzata nella regolamentazione bancaria e, in particolare, sugli accordi di Basilea. Studiosa della teoria monetaria e bancaria, è autrice di saggi, analisi e studi pubblicati nelle maggiori riviste scientifiche. Collabora con diversi blog in Francia e con la rivista Liber@mente in Italia. Il 21 agosto 2012 a Pizzo (VV) ha ricevuto il Premio Internazionale Liber@mente.