6° seminario
Prima dello Stato, il medioevo della libertà
prof. Guglielmo Piombini - Fondazione Hayek Italia
6 marzo 2015 - UMG Catanzaro, facoltà di Giurisprudenza
Il periodo che si estende dal V al XIV secolo d.C. è stato a lungo rappresentato come una parentesi buia fra l’antichità classica e il Rinascimento, dominata da stagnazione economica, chiusura sociale, regressione tecnologica, oscurantismo religioso, arretratezza politico-istituzionale. Una parte consistente della storiografia contemporanea, a partire da Marc Bloch, Régine Pernoud, Fernand Braudel, Georges Duby, Jacques Le Goff e numerosi altri, ha però ribaltato questa impostazione, presentando il Medioevo come un periodo ricco, vario e creativo. Partendo praticamente da zero dopo il crollo dell’impero romano, in soli cinque secoli gli abitanti dell’Europa medievale superarono il livello tecnologico delle millenarie società antiche, e dopo altri cinque secoli, all’epoca delle grandi scoperte geografiche, posero le premesse per la definitiva supremazia mondiale della civiltà europea.
Il ristabilimento di questa verità storica ha anche importanti implicazioni di filosofia politica: l’Europa medievale è infatti l’esempio più esteso e prolungato di convivenza umana non regolata da princîpi e istituzioni statuali. Al crollo dell’Impero Romano, infatti, non si riformò alcun monopolio concentrato del potere, perché l’autorità si frantumò in migliaia di giurisdizioni concorrenti, dando luogo alla cosiddetta “anarchia feudale”. Invece di condurre al caos della guerra “hobbesiana” di tuti contro tutti, con il passare del tempo la dispersione del potere politico creò un ambiente particolarmente favorevole alla sperimentazione, alla competizione economica, alla sicurezza della proprietà e del commercio. Mentre in Cina, in India, in Persia, in Russia, nel mondo islamico e nell’America precolombiana si andarono formando vasti imperi centralizzati e superburocratizzati che soffocarono ogni minima autonomia della società civile, in Europa nessun potere fu mai abbastanza forte da soffocare l’economia di mercato e le opportunità commerciali. Non è un caso che il capitalismo sia sorto nei comuni e nelle repubbliche marinare italiane, dove il potere politico era estremamente decentralizzato. Per questi motivi è oggi ampiamente accettata la tesi secondo cui il pluralismo politico che caratterizzò il Medioevo rappresentò la chiave del “miracolo europeo”, l’elemento decisivo che permise agli europei di surclassare tutte le altre civiltà sul piano del progresso culturale e tecnologico.
Gli ordinamenti politici medievale non erano statuali perché al potere medievale mancavano i tre requisiti indispensabili della statualità, che si affermeranno solo in epoca moderna: la sovranità, il monopolio legittimo della forza e la territorialità. I re non erano creatori del diritto, ma al massimo supremi giudici dell’antica legge consuetudinaria del regno; non potevano imporre tasse in via generale senza il permesso dei nobili o del parlamento; non potevano imporre la coscrizione militare degli uomini nel proprio esercito. La mancanza di territorialità del potere politico consentiva il pluralismo giuridico, cioè la coesistenza entro la stessa area di molteplici giurisdizioni. Non vi era un unico diritto uguale per tutti decretato dal potere politico, ma una costante intersecazione di molteplici ordinamenti giuridici, come il diritto comune, il diritto feudale, il diritto mercantile, il diritto statutario, il diritto consuetudinario, il diritto canonico. Questo ordine anarchico basato sulla produzione privata del diritto non era affatto caotico. In un mondo policentrico come quello medievale, la moltiplicazione di istituzioni sovrane o quasi-sovrane produceva infatti una pressione concorrenziale tale da obbligare i produttori di sicurezza (re, principi, signori o repubbliche cittadine) a tenere comportamenti vantaggiosi per i cittadini e a guadagnarsi ogni giorno la fedeltà dei “clienti-sudditi”. Inoltre quel pluralismo giuridico-istituzionale fu una fonte non solo di crescita e sviluppo, ma anche di libertà: la concorrenza tra ordinamenti permetteva infatti ai cittadini, alle associazioni e alle comunità medievali di guadagnare ampi spazi di libertà appellandosi ad autorità diverse, proprio come nel modello teorico elaborato dai libertarians si sceglie la propria agenzia di protezione.

Il prof. Guglielmo Piombini si è laureato in giurisprudenza presso la facoltà di Bologna. Ha collaborato con saggi e articoli a quotidiani e riviste come Il Foglio, Libero, Il Domenicale, Fondazione Liberal. Cura la rubrica “Controcorrente” per la rivista Liber@mente. Ha pubblicato i seguenti libri: Privatizziamo il chiaro di luna! Le ragioni dell'ecologia di mercato (insieme a Carlo Lottieri, Facco, 1996), Anarchici senza bombe. Il nuovo pensiero libertario (insieme ad Alberto Mingardi, StampAlternativa, 2000), La proprietà è sacra (Il Fenicottero, 2001), Il libro grigio del sindacato. Origini ed anatomia dell'oppressione corporativa (insieme a Giorgio Bianco e Carlo Stagnaro, Il Fenicottero, 2002), Prima dello Stato. Il medioevo della libertà (Facco, 2004). È titolare della Libreria del Ponte a Bologna (www.libreriadelponte.com), specializzata in testi riguardanti il pensiero liberale.