3° seminario
Il liberalismo e i principi della giustizia
prof.Pietro Monsurrò - La Sapienza, Università degli Studi di Roma
10 febbraio 2012 - Università Magna Graecia di Catanzaro
Ogni dottrina politica contiene sia teorie su come funziona la società, sia giudizi su come dovrebbe funzionare, ma mentre alcuni pensatori si limitano a valutare la nozione astratta di “giustizia”, altri analizzano tale nozione solo dopo aver sviluppato i principi dell’interazione sociale. Nel liberalismo classico le teorie della società e l’idea di giustizia vanno spesso di pari passo: è questo il caso di Adam Smith e David Hume. Anche nel liberalismo moderno ciò è evidente, ad esempio in Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek, Randy Barnett. Il pensiero politico contemporaneo sembra aver perso però il legame tra la teoria della società e l’idea di giustizia, e non c’è da stupirsi che anche il liberalismo odierno abbia subito questa influenza. Ci sono liberali dove l’aspetto normativo ha avuto il sopravvento su quello descrittivo: nel liberalismo classico John Locke, in quello contemporaneo Murray Rothbard. Cos’è la giustizia? Il concetto è elusivo. In quanto normativo non può essere ricondotto a considerazioni razionali, ma non è possibile fare a meno di interrogarsi su di essa, perché ogni interazione sociale si basa su un’idea di giustizia. La giustizia è l’insieme delle regole che limitano l’uso della coercizione: un diritto si differenzia da un’aspirazione perché per la sua difesa è considerato legittimo l’uso della forza. La tradizionale idea liberale è che la coercizione debba essere limitata alla difesa della vita, della libertà e della proprietà. Ogni altra finalità non è considerata sufficientemente importante da giustificare l’uso della forza, anche se può essere importante per altri motivi. Oggi l’idea di giustizia non è più limitata a questo: si cerca di imporre finalità collettive che giustificano l’uso della coercizione in molti altri casi. Inoltre il concetto negativo di giustizia tipico del liberalismo (è giusto colui che non fa del male) è stato sostituito da un concetto positivo di giustizia che non pone alcun limite all’estensione dell’intervento pubblico. Gli uomini vogliono considerarsi giusti, e le conseguenze politiche del passaggio dalla concezione liberale alla concezione interventista della giustizia sono state enormi: lo stato limitato è diventato lo stato illimitato, il diritto privato è diventata l’eccezione e il diritto pubblico la regola, l’ambito delle scelte collettive si è espanso a danno di quelle individuali.
Il prof. Pietro Monsurrò ha studiato a Roma, dove ha conseguito il dottorato in Ingegneria Elettronica, e alla London School of Economics, dove ha conseguito il Diploma for Graduates in Economics. Attualmente scrive per l’Istituto Bruno Leoni, per il quale ha pubblicato studi sull’effetto economico delle catastrofi naturali, sulle conseguenze della regolamentazione del tabacco, e sulle teorie economiche della Scuola austriaca. Ha partecipato al Mises Seminar di Sestri Levante e al Rothbard Seminar di Milano con paper sull’azzardo morale in finanza. Ha insegnato alle Scuole di Liberalismo di Roma, Torino, Benevento, Sulmona e Cervinara, ed è organizzatore del Seminario Austriaco di Roma. Scrive per Liber@mente, Libertiamo, Chicago-Blog, Linkiesta, Giornalettismo.